Il paradigma che si contrappone a quello della neurodiversità è il
paradigma della patologia. Quest’ultimo parte dall’assunto che esiste un
funzionamento principale, “corretto”, accettabile e riconoscibile come quello
“giusto”. Non avere un cervello e una mente che rispecchino questo
funzionamento, fa sì che la società e, spesso, di conseguenza, l’individuo
stesso, pensino: “c’è qualcosa di sbagliato in te” (Something Wrong With You).
Primo step.
Riconoscere le diversità come risorsa, nel proprio figlio
neurodiverso, o in sé stessi, se genitori neurodiversi.
Secondo
step.
Conoscere e comprendere i criteri e le caratteristiche della
cultura di appartenenza: neurotipica e neurodiversa.
Terzo
step.
Lavorare su un linguaggio condiviso che sia “a metà strada” (Half Way) tra modi diversi di
comunicare, quando possibile; oppure, posizionarsi su un punto di incontro sostenibile
per entrambe le parti.
Quarto
step.
Favorire la comunicazione e la comprensione RECIPROCA dei
bisogni e di regole, di convivenza e di tutela.
A prescindere, è necessario e doveroso tutelare l’identità della
persona,
intesa come possibilità di
essere chi si è!

Come faccio a
tutelare mio figlio in un mondo che non è interessato a comprenderlo?
È vero,
spesso non c’è interesse a comprendere cos’è e cosa comporta la neurodiversità;
in questo senso, a maggior ragione, è importante l’intervento della rete e che
questa sia unita e coerente. Ad esempio, la scuola sarà più propensa ad
accogliere dei suggerimenti, se questi sono già stati sperimentati a casa e si
sono rivelati funzionali e sostenibili.
Non voglio
che si senta diverso..
Questo è
inevitabile. È diverso. Invece di concentrarsi unicamente sulle difficoltà che
accompagnano la diversità, perché non sottolinearne gli aspetti positivi?
Inoltre,
sensibilizzare i diversi contesti alla diversità, favorisce una maggiore
accettazione. In un mondo che tende ad omologare, spesso ci si dimentica che
ognuno ha le sue particolarità!